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KANTELE
(salterio finlandese)
Quando si parla di musica tradizionale
finlandese, il collegamento con il kantele è pressoché immediato, un po’
come l’hardingfele per la Norvegia o la nyckelharpa per la Svezia, tanto
per restare in Scandinavia. In realtà, pochi strumenti popolari possono
vantare radici altrettanto profonde all’interno di una cultura
nazionale, così come accade per il kantele, la cui nascita ha persino
un’eco mitologica nei runi del Kalevala, il poema nazionale finnico,
sorta di Iliade iperborea raccolta in strutture ordinate dalla penna di
Elias Lönnrot alla metà del secolo scorso.
Il mito narra infatti come il saggio Väinämöinen, sciamano e mago,
costruì il primo kantele dalla mascella di un luccio, e lo montò con
corde ricavate dai capelli della donna-demone Hiiri o, secondo altre
fonti, dal crine del cavallo di questa.
Questo strumento, che nessun uomo se non lo stesso Väinämöinen era in
grado di suonare, sparì inghiottito dalle onde del mare. Väinämöinen,
per il dolore della sua perdita, sparse lacrime che si trasformarono in
ambra e perle, finchè incontrò una betulla, anch’essa infelice per il
suo destino. Egli allora tagliò la pianta e, per restare sempre vicino
ad essa, con il suo legno costruì un secondo kantele. Stavolta, fra
tutte le creature radunatesi per ascoltare il suono che da esso
scaturiva, finalmente un mortale riuscì ad ottenere anch’egli una
musica. Si trattava di un vecchio cieco, e da quel momento anche agli
altri uomini fu possibile suonarlo.
La connotazione magica dello strumento è ravvisabile sotto vari aspetti
presso gli antichi Finni, per i quali, ancor più che un semplice
strumento musicale, esso rappresentava una sorta di segno di
appartenenza alla comunità, e l’entrarne in possesso una testimonianza
dell’ingresso nell’età adulta. Non a caso, la tradizione non consentiva
che esso venisse suonato da donne o bambini.
Questa specie di ”sacralità”, retaggio della cultura sciamanica che in
età pagana lo collocava come componente fondamentale nei rituali
funebri, si mantenne ancora con l’avvento del cristianesimo; la
consuetudine vuole infatti che di frequente i kantele venissero
benedetti dal sacerdote del posto, ed era considerato di buon auspicio
che almeno un kantele venisse portato con sé da coloro che si
accingevano a partire per un pellegrinaggio.
Volendo lasciare da parte l’aspetto leggendario e più romantico dello
strumento, ci troviamo comunque di fronte ad una realtà che, dal punto
di vista organologico, non è meno affascinante.
Il kantele, cordofono vicino alla famiglia delle cetre, viene anche
definito nel linguaggio corrente come ”arpa finlandese” o ”salterio
finlandese”, ma la sua catalogazione, secondo i musicologi, non è così
facile e netta: se per un verso sono evidenti le analogie con i salterii,
che prevedono corde tese parallelamente alla tavola armonica, e non
perpendicolari come nell’arpa, d’altra parte di quest’ultima ha il
sistema di sospensione delle corde, tese senza l’ausilio di ponticelli.
La corda è agganciata da un lato ad un pirolo conico in legno, o ad un
cavigliere metallico non dissimile da quello del pianoforte, e su questo
lato viene accordata per mezzo di una chiave. L’altra estremità, fissa,
è invece agganciata su se stessa, a cappio, su di una sottile barra
metallica (detta ”varras”). Proprio questo tipo di montatura, senza la
presenza di un ponte di alcun tipo ad interferire con la vibrazione
della corda stessa, dà luogo a quel sottile ma penetrante e persistente
timbro che è peculiare dello strumento, quasi un rintocco di campana,
ancor più accentuato rispetto a quello prodotto dalle arpe medioevali.
Le corde dello strumento, originariamente di crine ritorto o più di rado
di tendine animale, acquistarono in brillantezza e potenza sonora quando
cominciarono ad essere realizzate in bronzo fosforoso. Oggi viene
normalmente utilizzato un sottile filo di acciaio armonico (generalmente
di sezione 0.35 – 0.40 mm., a seconda dell’accordatura che si desidera
adottare) ad alto grado di elasticità, benchè alcuni costruttori
mantengano l’uso di metalli differenti: oltre al bronzo, anche ottone e
rame. A volte, soprattutto negli Stati Uniti, si tende a fare anche uso
di corde già pronte, come quelle da pianoforte o da banjo. La
caratteristica delle corde è comunque di venire sempre montate con
sezione uguale fra di loro. Non è infatti il diametro della corda, né la
sua tensione, a variare l’altezza della nota prodotta, bensì la sua
lunghezza. Di norma, la corda in acciaio può variare la tensione entro
una gamma sonora di circa una quinta. Il punto di miglior risonanza è un
tono-un tono e mezzo al di sotto del punto in cui essa è esposta a
rischio di rottura, ed è consuetudine accordare lo strumento il più alto
possibile per l’esecuzione di brani strumentali, mentre se deve
accompagnare il canto può anche abbassarsi di qualche tono (perdendo
ovviamente però il timbro, in tal modo, di brillantezza).
Per quel che riguarda le caratteristiche costruttive è necessario fare
un distinguo fra due tipologie totalmente diverse di strumenti, e
ritornare per un istante alla loro origine storica.
Il tipo più arcaico di kantele, anche detto ”kantele scavato” o ”kantele
piccolo”, è pressochè uguale ai primi esemplari di cui ci è giunta
testimonianza. Gli esperti ritengono che kantele con caratteristiche
analoghe a quelli attualmente in uso fossero già esistenti nel 1500 a.C.
circa (alcuni addirittura parlano del 3000 a.C.) ma com’è ovvio,
trattandosi di manufatti in legno, a sostegno di tale collocazione
storica si possono portare solo prove iconografiche. I più antichi
esemplari effettivamente ritrovati risalgono ad un periodo compreso fra
il XII ed il XV secolo e provengono dagli scavi della città russa di
Novgorod. A questo tipo di strumenti sono assimilabili sia il kantele
finnico che il kannel estone, il gan’del lappone, il gusli russo, il
kankles lituano ed il kuõkles lettone, più una quantità di strumenti
affini diffusi fra le tribù di ceppo ugro-finnico abitanti tutta l’area
baltica, come Voguli, Ostiachi, Vepsi, Livoni, Ceremissi e Mordvini (a
tale proposito, un ulteriore approfondimento può essere fatto
consultando il sito http://aidenis.mch.mii.lt/Kankles/content.htm)
Originariamente ricavato da un blocco unico di legno – per lo più
betulla, pino o abete rosso - che poteva essere scavato sia dal di sotto
(in questo caso lo strumento restava col fondo aperto), sia dalla parte
superiore o dal lato, che venivano poi chiusi con una tavola riportata,
col passare del tempo finì per essere realizzato da più parti, unite fra
di loro da un complesso gioco di incastri. La forma è trapezoidale, e le
corde, in numero compreso fra cinque e quindici circa, sono disposte a
raggiera, divergenti fra loro. Questo è il kantele della tradizione
popolare, diatonico, con cui i bardi finnici usavano accompagnarsi nel
canto dei runi del Kalevala, con lunghe variazioni su strutture
melodiche basate sulla scala pentatonica. Talvolta, ancora oggi, i
pelimannit (suonatori tradizionali) usano per le loro improvvisazioni
solo le cinque corde centrali dello strumento, mantenendo quelle alle
estremità addirittura non accordate, e facendo ricorso ad esse solo per
poche particolari melodie che richiedano necessariamente l’utilizzo di
una gamma di suoni più ampia.
In considerazione delle dimensioni piuttosto ridotte (70-80 cm. di
lunghezza per un chilo circa di peso), questo tipo di kantele viene
generalmente tenuto appoggiato in grembo dal suonatore, con la corda più
acuta verso di sé. Nella tecnica di pizzicato detto ”ad arpa”, le dita
dell’esecutore, a parte i mignoli, si alternano sulle corde, pizzicate
con la parte di polpastrello appena al di sotto dell’unghia (a
differenza di ciò che avviene con la maggior parte delle arpe e cetre a
corde metalliche, l’unghia non viene usata, perché il timbro, già di per
sé brillante, non abbia a divenire addirittura aspro). In alcune zone
della Finlandia, ad esempio la regione dell’Ostrobothnia, si sviluppa in
un secondo tempo un’altra tecnica esecutiva, di tipo accordale, dove le
corde che non concorrono a formare l’accordo vengono stoppate con i
polpastrelli della mano sinistra, mentre le altre vengono poste in
vibrazione con l’unghia dell’indice destro o con l’ausilio di un
plettro.
Intorno al Diciottesimo secolo, però, si inizia a sentire l’esigenza di
poter eseguire sul kantele anche le nuove melodie che provengono dal
Centro Europa. Di conseguenza, diviene necessario aumentare l’estensione
di note a disposizione, e le tecniche costruttive vengono modificate. Si
realizza un kantele con una cassa di risonanza molto più larga, simile a
quella di una spinetta o di un cembalo, realizzata con tavole sottili,
ed il numero di corde cresce. Alla fine dell’Ottocento i kantele
”grandi”, anche detti ”a tavola”, contano circa 25-30 corde, per
arrivare poi un paio di decenni più tardi alle 36-39 corde dei modelli
da concerto. Ormai le corde non agganciano più l’estremità alla barretta
metallica, ma ognuna di esse ha un cavigliere a sé stante. Inoltre
queste, che prima si allargavano a ventaglio, finiscono col divenire
parallele fra di loro. Lo strumento ora viene suonato appoggiandolo ad
un tavolo, la sua posizione si inverte, portando la corda più grave
verso il corpo del suonatore, e le mani si dividono nettamente i ruoli:
alla destra tocca l’esecuzione della melodia, mentre la sinistra si fa
carico dell’accompagnamento. La grande innovazione giunge negli anni
Venti del nostro secolo, quando Pauli Salminen mette a punto un
meccanismo di leve, sul modello di quello in uso sull’arpa, che
consentirà allo strumento, fino a questo momento diatonico, di diventare
cromatico. Siamo di fronte, comunque, ad una serie di modifiche che non
alterano il modello originario del kantele fino ad ora conosciuto, bensì
che delineano un nuovo tipo di strumento che a questo si affiancherà, e
che verrà sempre guardato con sospetto dai pelimannit, perché
chiaramente indirizzato ad un pubblico più colto, agli esecutori dei
salotti borghesi piuttosto che non agli improvvisatori di estrazione
popolare.
Da un certo punto di vista, inoltre, le caratteristiche peculiari e più
interessanti del kantele sono ravvisabili soprattutto nei kantele
piccoli. Innanzitutto l’accordatura, che è il primo scoglio in cui si
viene ad imbattere il principiante. Non siamo infatti di fronte ad uno
strumento temperato, bensì ad uno che deve venire accordato sulla base
della scala naturale, stante la sua funzione originaria di
accompagnamento al canto. Come già detto, l’accordatura è diatonica,
ossia senza cromatismi. Nell’ambito delle cinque corde centrali vi è la
presenza di una terza minore o maggiore, se non addirittura neutra (una
posizione intermedia fra le due); questo tipo di terza, usato ancora
nella musica del primo Medioevo, è stato via via abbandonato quando la
sensibilità musicale occidentale si è spostata verso la tonalità ed il
temperamento, ma è sopravvissuto in talune forme arcaiche di musica
popolare. Nel corso del tempo sono state comunque sperimentate una serie
di accordature molto diverse fra di loro, generalmente funzionali al
brano che doveva essere eseguito. Non di rado possiamo ritrovare,
all’interno di ensembles di kantele, accordature differenti fra le varie
sezioni.
Altro particolare degno di nota è la scrittura dei brani destinati al
kantele. Mentre per quel che riguarda i kantele da concerto essa è
simile alla scrittura per pianoforte o per arpa, con le parti disposte
su due righi distinti, nei kantele piccoli, che scrivono su di un solo
rigo pur essendo strumenti polifonici, si ritrova uno stile di scrittura
molto caratteristico che fa ampio uso dei rivolti, per cui di frequente
la linea dell’accompagnamento viene a trovarsi al di sopra di quella
della melodia: fatto peraltro prevedibile tenendo conto del limitato
numero di note a disposizione e della sua natura prettamente modale, che
non richiede una marcata conferma della tonalità.
Verso la fine dell’Ottocento ci troviamo in presenza di due scuole
nettamente distinte: la prima, quella dei musicisti tradizionali, che fa
uso dei kantele piccoli, da soli o in gruppi di più strumenti,
utilizzati nell’esecuzione di brani cantati o di danze; e la seconda,
quella dei musicisti ”da salotto” di estrazione più colta, che sul
kantele a tavola interpretano brani di musica ”continentale”
opportunamente arrangiata. Poi, poco alla volta, entrambi i tipi di
strumento cadono in disuso. Dobbiamo attendere i primi anni Cinquanta
per la riscoperta, quando allo studioso Martti Pokela viene donato un
antico esemplare che desta il suo interesse. Agli inizi del ’70,
incoraggiati dal folk-revival, una decina di esecutori colti provenienti
dalla classe di Pokela all’Accademia Sibelius di Helsinki si dedicano a
far conoscere ed a diffondere il kantele a cinque corde e la sua
tecnica, e contemporaneamente alla ricerca ed all’approfondimento di un
patrimonio tradizionale e di una prassi esecutiva che rischiano di
scomparire, ormai sopravvissuti per lo più come retaggio di pochi
anziani suonatori, soprattutto nella regione di Karjala. Nei due
successivi decenni le iniziative finalizzate ad una nuova diffusione del
kantele si susseguono, moltiplicandosi. Uno dei progetti più
interessanti di questi anni nel Paese è ”Kantele nelle scuole”, che
porta all’adozione del kannel piccolo a cinque corde come strumento
didattico già nelle prime classi della scuola elementare. Lo studio può
venire poi proseguito in uno dei vari conservatori sparsi nel paese fino
ad arrivare all’Accademia Sibelius, che ha fra l’altro tra i suoi fiori
all’occhiello un attivissimo dipartimento di musica folk. Gli esecutori
come Sinikka e Matti Kontio, Eeva-Leena Sarjola, Hannu Saha, Ulla
Katajavuori e le più giovani Ritva Koistinen ed Arja Kastinen fanno
conoscere lo strumento anche al di fuori dei confini nazionali. Il
repertorio si amplia: accanto alle melodie popolari troviamo ora lavori
scritti da autori contemporanei che abbinano i kantele, anche i piccoli
cinque e dieci corde, ad organici strumentali tipici della musica colta:
il kantele desta l’interesse di compositori non finlandesi come John
Cage, Philip Glass ed Arvo Pärt.
Con la realizzazione di kantele semiacustici o totalmente elettrici la
sperimentazione si spinge verso altre strade, sovrapponendo al
repertorio usuale echi jazz e innovazioni timbriche, come nella
produzione di Timo Väänänen, uno dei più creativi giovani talenti oggi
presenti sul panorama finlandese. Un’altra scena in cui il kantele è
molto vivo e vitale è quella degli Stati Uniti, in cui venne importato
nel secolo scorso dai numerosi emigranti, e dove è attecchito
perfettamente adeguandosi anche a repertori molto diversi, come il
country, il jazz e la musica d’autore, grazie al lavoro di interpreti e
ricercatori come lo studioso Carl Rähkönen, le didatte Kasha Breau e
Merja Soria, la storiografa e musicologa Joyce Hakala, la cantautrice
Diane Järvi.
DEMO AUDIO:
"Kalevalainen sävelmä"
(Melodia del Kalevala, trad. finnico)
MP3 (1.84 MB): Paola Brancato - kantele
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